Pittore francese. Fu tra i maggiori del Classicismo secentesco. Educato
nell'ambiente manieristico parigino (Q. Varin, S. Lallemant e F. Elle),
approfondì la propria esperienza culturale e pittorica studiando le copie
delle opere di Raffaello e Giulio Romano. Nel 1620-21 tentò senza
successo (forse per le malferme condizioni di salute) di recarsi a Roma; quindi,
rientrato a Parigi, accettò la commissione dei Gesuiti per sei grandi
tempere, oggi perdute, sul tema della canonizzazione di sant'Ignazio. È
andata perduta anche la decorazione eseguita da
P. nell'appartamento di
Maria de' Medici, frutto della collaborazione con P. de Champaigne (1623). Unico
esempio rimastoci del periodo preromano sono i disegni (conservati nel castello
di Windsor) che G.B. Marino gli commissionò per illustrare le
Metamorfosi di Ovidio, in cui ancora evidente è l'influsso della
sua formazione manierista. Incoraggiato da Marino, nel 1623
P.
ripartì per l'Italia; durante la tappa veneziana conobbe la pittura di
Tiziano, a Bologna quella dei maestri bolognesi (in particolare il Domenichino).
Giunto a Roma all'inizio del 1624, iniziò a studiare le statue antiche e
ammirò l'opera di Raffaello. Nei primi anni romani l'artista predilesse
soggetti mitologici e raffigurazioni arcadiche che recano netta l'impronta
dell'arte di Tiziano, tanto da far parlare di un
P. "neoveneto"
(
Pastori d'Arcadia, 1627;
Trionfo di Flora, 1627).
P.
realizzò anche quadri religiosi (
Strage degli innocenti, 1627) e
di soggetto storico, in cui l'espressione di significati filosofici e universali
è resa attraverso forme pittoriche severe e contenute (
Morte di
Germanico, 1626-28). In questo primo periodo romano, tra i primi committenti
di
P. figura il cardinale Francesco Barberini, ma l'incontro determinante
fu quello con Cassiano Dal Pozzo, appassionato d'arte e studioso
dell'antichità. L'appoggio di Dal Pozzo gli fece ottenere l'incarico di
dipingere il
Martirio di S. Erasmo per San Pietro (1629, Pinacoteca
Vaticana), in cui è già visibile la meditazione classicista di
P. L'opera, accolta piuttosto freddamente, fu l'ultima commissione
ufficiale romana dell'artista che, da quel momento, preferì dedicarsi a
tele di minori dimensioni, destinate a collezionisti privati.
P.
sviluppò anche un intenso interesse per il paesaggio, che assunse nei
suoi dipinti un ruolo fondamentale e lirico in rapporto alla storia narrata
(
Apollo e Dafne, Monaco, Alte Pinakothek;
Cefalo e Aurora, Londra,
National Gallery). Al raggiungimento della piena autonomia artistica,
conseguente a una ricerca d'armonia e compostezza classiche, contribuì
notevolmente l'approfondita conoscenza di Raffaello e di Tiziano, dai quali
P. recepì la solenne impostazione compositiva; lo studio della
cultura classica, attraverso i suoi monumenti, lo condusse a produrre opere
dotate di un altissimo grado di elaborazione formale e di pensiero e che
influenzarono notevolmente la pittura del Settecento. Attraverso l'antico,
l'artista studiò le passioni umane e nuovi criteri di proporzioni e di
grandezza in grado di esprimerli. Nel decennio 1630-40,
P.
realizzò numerose opere già rappresentative della tendenza
classicista del Seicento, dove lo stile si fa più rigoroso e austero, il
disegno prevale sul colore e l'idea sul sentimento. I soggetti sacri e storici
(
Passaggio del Mar Rosso, 1634;
Adorazione del Vitello d'oro,
1635; la prima serie dei
Sette sacramenti, commissionata da Dal Pozzo,
1636;
Ratto delle Sabine, 1637, New York, Metropolitan Museum) mostrano
un ulteriore approfondimento culturale e un definitivo distacco dall'influenza
barocca, mentre nei soggetti profani sono evidenti i riferimenti alla cultura
rinascimentale (
Trionfo di Venere,
L'ispirazione del poeta,
Trionfo di Flora,
Il Parnaso). Nel 1640 l'artista ritornò a
Parigi, ove soggiornò sino al 1642; realizzò qui la
Favola
d'Ercole, ora perduta, ed
Ercole che abbatte l'Invidia. Tornato a
Roma, eseguì alcuni degli incarichi conferitigli in Francia, tra cui la
seconda serie dei
Sette Sacramenti (1644-48, Edimburgo, National Gallery
of Scotland), la
Cena (Parigi, Louvre),
Il Pianto sul Cristo. In
queste opere la concezione formale di
P. diventa ancora più
rigorosa ed essenziale, il colore, astratto e quasi spento, è solo a
tratti ravvivato da tinte scintillanti. Nella seconda serie dei
Sette
sacramenti, per esempio, le figure appaiono statiche, inserite in una
composizione solenne, improntata a una severa simmetria e caratterizzata da una
perfetta padronanza dello spazio. Nelle opere degli ultimi anni, funestati da
una malattia alle mani che gli impedì di lavorare intensamente,
P.
impresse alla sua pittura una nuova svolta, accentuando l'importanza attribuita
al paesaggio; esempi significativi di questo sviluppo sono il
Paesaggio con
Diogene che rinuncia alla ciotola (1648, Parigi, Louvre), dove la
lussureggiante vegetazione esprime l'ideale del filosofo che considera la natura
fonte di tutto ciò che è necessario per l'uomo; il
Paesaggio
con uomo ucciso da un serpente (1648, Londra, National Gallery), indagine
sulle forze misteriose della natura; il
Paesaggio con Orione e Diana
(1658, New York, Metropolitan Museum), dove il gigante sembra schiacciato dalle
querce che lo circondano, simbolo di un'umanità ridotta a nulla di fronte
all'incombenza del mondo naturale. Nelle
Quattro stagioni (1660-64,
Parigi, Louvre)
P. espresse la sua poetica in termini di classico lirismo
(Les Andelys, Normandia 1594 - Roma 1665).
Nicolas Poussin: “Il seppellimento di Cristo”